NOTTE PAUROSA

È autunno, le giornate si accorciano, i colori che ci circondano sono caldi, e tra le sue serate di  piacevole frescura, una in particolare riscuote sempre più clamore, è LA NOTTE PAUROSA DI HALLOWEEN, il 31 ottobre, festa americana, ma ormai molto presente anche da noi, festa dai colori dominanti dell’arancione ed il nero, popolata da zucche che sghignazzano, strani spiriti, fantasmi, ragni, pipistrelli, streghe, vampiri, serpenti e da tutto ciò che simbolicamente rappresenta le nostre paure. Halloween non è una festa pagana, né religiosa, ma piuttosto una celebrazione esistenziale, perché questa serata paurosa si presta ad un significato più profondo, è la notte in cui le cose più spaventose, paure, orrori, vulnerabilità sono messe in ridicolo; ci fornisce la possibilità di vivere emozioni forti, ma in modo sicuro, è solo un giorno in cui poter affrontare giocosamente con i nostri bambini paure in modo simbolico, perché non rappresentano una reale minaccia. I giochi dei bambini simulano spesso situazioni di pericolo, paure, trasgressioni, il 31 ottobre, hanno la possibilità di vivere tutto questo in modo largamente condiviso, un grande fare finta con una grande ambientazione e dove gli adulti si lasciano coinvolgere nel giocare insieme. Halloween, ha una funzione quasi liberatoria, in cui le paure si possono affrontare, combattere e sconfiggere, la notte in cui i nostri bambini possono essere e superare qualsiasi cosa, una importante palestra per quando le paure, inevitabilmente andranno affrontate realmente.  Dunque, non prendiamola così seriamente, o forse si….prendiamola seriamente!

Buon Halloween!

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ROSSO DI RABBIA

Se proviamo dolore, fisico o emotivo, se non stiamo bene, se ci sentiamo  minacciati, infastiditi o respinti, se sperimentiamo una privazione o una perdita…potremmo rispondere con la rabbia, una risposta naturale e automatica, combinata con valutazioni personali, ipotesi, interpretazioni su una probabile minaccia che sentiamo incombere su di noi, ed in questo senso la rabbia è un sentimento sociale. A volte è più facile esprimere rabbia che vivere e comprendere il dolore, così si sposta anche il focus attenzionale, da interno ad esterno, più semplice. Dunque la rabbia agisce come un sostituto, che troppo spesso rimane l’unico protagonista della scena, ci proteggiamo dall’affrontare sentimenti dolorosi che richiamano la nostra vulnerabilità, la nostra fragilità, e invece se ci arrabbiamo creiamo un senso di potere e superiorità morale che ci illude di una forza che in realtà non abbiamo. Capita anche spesso, di rivolgere la nostra rabbia con le persone a noi più care, anche se non sono proprio loro ad averla attivata, perchè con chi ci ama, ci sentiamo liberi di esprimerci, forti dell’amore incondizionato che ci lega, e ci aspettiamo comprensione ed ascolto; ma la rabbia non aiuta a comprendere ed affrontare i problemi che ci fanno paura e ci fanno sentire vulnerabili, ma spostano temporaneamente l’attenzione su un altro piano, provocando spesso reazioni a catena poco piacevoli. La rabbia può essere distruttiva o costruttiva, perché in origine nasce come funzione adattiva all’ambiente, ci dà il segnale che qualcosa nel nostro ambiente non è giusta, dunque appare auspicabile riuscire a gestirla nel modo migliore, ascoltarla e comprenderne il pensiero sottostante ed il nucleo emotivo.

OFFUSCARSI NEL CIBO

 Conosciamo tutte le regole del saper vivere bene, conosciamo razionalmente le regole per un corretto e sano stile di vita, ma siamo sempre in lotta con il cibo e con il corpo, nelle varie forme della sua privazione, delle sue abbuffate  e del suo controllo, e siamo sempre alla ricerca di diete miracolose, prodotti e pillole magiche, operazioni devastanti che possano regalare felicità o incastrati in pensieri rigidi e controllati verso una monotonia alimentare che spegne piacere e creatività.
Forse il bisogno è, di avere un nutrimento diverso?
Deleghiamo al cibo funzioni che non ha e che non può ottemperare se non in un tempo troppo esiguo, trasformando inconsapevolmente il nostro corpo in una prigione che ci fa volare basso. Vi lascio con una poesia di Margherita Guidacci dal titolo Prigione.

Le sbarre d’ombra sono le vere sbarre,
non saranno divelte
tu, confini con l’aria,
tocchi gli alberi,
cogli i fiori,
sei libera,
e sei tu stessa la tua prigione che cammina
“Prigione”

                     

ADOLESCENTI CHE MANGIANO POCO

 Gli adolescenti che mangiano poco, sono per lo più ragazzi che mostrano apparentemente una grande forza, e un carattere ostinato, se ci addentriamo un po’ di più, scopriremo che spesso sono ragazzi che operano un grande e ossessivo controllo su tutta la loro vita,  dalle persone al cibo, stabiliscono regole precise e routine da seguire scrupolosamente, risultano bravi a scuola, alternano espressioni di affetto ad atteggiamenti di rifiuto, una barriera in realtà, che tiene lontano le loro emozioni, i cambiamenti a cui non sono pronti e che li spaventano. Cercano di controllare il corpo, non ne accettano il suo sviluppo ed il “crescere”, non essere più bambini, sono ragazzi che per troppo tempo hanno cercato di soddisfare le aspettative degli altri, e sono stati attenti alle esigenze degli altri, mostrando passività per lo sviluppo del proprio mondo personale verso lo sviluppo di una propria  autonomia, arrivando così, disarmati ai grandi passaggi evolutivi. Aiutarli significa mettersi in una posizione di ascolto autentico, significa non imporre il proprio pensiero, le proprie idee, le proprie esigenze, significa non volere controllare e scegliere per loro, significa rispetto per quello che pensano, significa non ridurre e non cercare soluzioni in termini logici-razionali, significa distaccarsi da loro, lasciargli compiere il loro cammino, significa dichiarare i propri errori ma anche dare  la nostra presenza costante ed il nostro amore INCONDIZIONATO.

Adorato maledetto cibo

Adorato e maledetto cibo, ma quanto è difficile trovare e mantenere, soprattutto, un equilibrio alimentare? È solo forza di volontà? Le cause sono sicuramente multifattoriali, ed oggi questo problema si presenta in modo sempre più pressante e con una crescita esponenziale, interessando una fascia della popolazione sempre più ampia, con varie tipologie di manifestazione comportamentali presenti non solo in chi è sottopeso, sovrappeso, o obeso, ma  anche nei normopeso. Quando si parla di alterazione del comportamento alimentare, quasi automaticamente il nostro pensiero va a quei disturbi strutturati ben noti da cui prendiamo le distanze, parlo di anoressia, bulimia, bed (abbuffate da alimentazione incontrollata), oggi, si assiste ad un proliferare di situazioni cocktail, che mutano quanto si sviluppano in modo veloce. Il cibo non ha solo funzione nutritiva, il cibo è relazione, è nutrimento dell’anima, è consolazione, col cibo ingoiamo emozioni che non trovano la loro naturale espressione, ingoiamo paure, ansia, affetto, ingoiamo per riempire vuoti, per creare vuoti, ed il sano e regolatore senso di fame e sazietà sembra un meccanismo preistorico, di cui si ha solo un vago ricordo narrato.

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L’ Anatroccolo stressato e il nutrimento emotivo

In Inghilterra, (notizia tratta dall’express-news.it), un anatroccolo sfuggito miracolosamente all’attacco di un gabbiano, che ha però sterminato tutta la sua famiglia, è stato portato in un centro di soccorso, ma il piccolo orfano, per lo stress ed il trauma subiti, si rifiutava di mangiare e bere, così gli operatori presenti decidono di mettere uno specchio vicino, ed il piccolo anatroccolo specchiandosi, ricomincia a mangiare, di nuovo “in compagnia”. Trovo interessante questa tenera storia, e gli aspetti che evidenzio sono fondamentalmente due:  il primo,  è come il  nutrimento del corpo  si realizzi con il nutrimento emotivo, quando il cibo è amore e rappresenta  nutrimento anche psicologico ed affettivo, un canale che trasmette significati  di cura e relazionale al bambino sin dalla nascita con chi lo nutre, la ricerca della protezione dell’ adulto per sperimentare sicurezza, (teoria dell’attaccamento di Jhon Bowlby). Nella nostra storia però il nutrimento emotivo è dato da un’illusione, perché  è bastata un’immagine per creare l’idea all’anatroccolo  di non essere solo, ma proprio questo lo rende interessante, e qui entra in gioco il secondo aspetto,  noi non siamo anatroccoli e con noi non avrebbe funzionato, ma ciò su cui dobbiamo focalizzarci, è che ognuno di noi, ha  sempre le potenzialità in grado di creare le condizioni per superare le situazioni più avverse, una forza che può restare sopita, subire contrasti ed altri danni, ma non può venire distrutta, quella che Rogers esponente della psicologia umanistica definisce “tendenza attualizzante”, una potente tendenza costruttiva nella riorganizzazione della capacità percettive,  una “volontà creativa” fondamentale per l’organismo in quanto lo guida alla sperimentazione verso destinazioni più soddisfacenti” (C.Rogers 1971) .

Specchio, servo delle mie brame …

Così, ossessionata dal suo aspetto, la regina Grimilde meglio conosciuta come matrigna di Biancaneve, interrogava il Suo specchio, ma oggi qui la storia è un’altra, ed il protagonista è lui, lo specchio, uno specchio deformante una realtà personale, quello specchio sono occhi di persone che spostano in superficie ciò che combattono, che sfuggono, che controllano, ciò che provoca loro dolore, una corsa senza un traguardo, che fa ignorare la sofferenza dell’organismo in un autoinganno senza fine. Crederanno sempre a quello che vedranno nello specchio, unico, come unica è la loro percezione e l’unica che conta. I disordini del comportamento alimentare, sono complessi, complicati, individuali, si, individuali perché non ci sono due individui, due storie, due relazioni uguali,  ed è per questo che non esiste un “unico modo giusto”che risolve, ma bisogna trovare il modo più giusto per ognuno per passare da uno specchio che riflette in modo de-forme ad uno specchio su cui riflettere, restando centrati sulla persona.

                                                                               

Sono contrario alle emozioni

 Un  avvocato, incastrato nella razionalizzazione,  logorroico, provocatore, comico, è il protagonista di un  libro,  di Diego De Silva,  Vincenzo Malinconico,  con un bisogno invalidante di trovare una spiegazione razionale,  ai sentimenti,
ai legami emotivi,  un’analisi fai da te svilente, bizzarra ma intelligente. Quanti Vincenzo Malinconico conosciamo? Incontriamo tutti i giorni sul posto di lavoro, o ancora più vicino, in famiglia? Persone che si muovono perfettamente, ma solo dentro  schemi rigidi.
Qualunque esperienza, conoscenza che viviamo, che ci attraversa, è imbevuta da tensione emozionale, c’è la vita emozionale e la vita razionale. La scuola tende a  sviluppare  facoltà discorsive e rappresentative, e molto meno  facoltà intuitive,  e tuttavia anche questa deve essere sviluppata. Intelligenza e istinto si intrecciano e si integrano reciprocamente, questo equilibrio tra i due, rischia di spezzarsi, quando i fattori affettivi, i fattori irrazionali, della vita siano feriti e compromessi da una qualche esperienza. L’intelligenza sottratta all’azione frenante della vita affettiva, si inaridisce e si deforma, quando l’equilibrio tra ragione ed emozione si rompe, la razionalizzazione, come in questo caso dilagano nel contesto di una vita, dalla quale scompare la mobilità vitale, e per quanto alta sia l’intelligenza, in questa forma così inaridita ed irrigidita  non conduce più da nessuna parte. Le emozioni sono il linguaggio di un corpo narrante, del cuore,  il pensiero è espressione della percezione della nostra conoscenza.